Quando lavori con un animale, nel mio caso con un cane, devi tenere conto di tante le variabili. Devi cercare di prevedere quello che avverrà, quasi come se ti dovessi trasformare in una fatina.
Il primo sguardo che ho entrando in struttura è a terra, non perché sono appassionata di pavimenti; bisogna controllare se ci sono farmaci caduti, avanzi di cibo e, a volte, valutare la collocazione delle sacche delle urine. Il cane che entra in struttura è sottoposto a una miriade di sollecitazioni, olfattive (anche i detersivi possono essere fastidiosi), sonore e posturali. È vero i cani sono preparati, ma perché sottoporli a sollecitazioni evitabili?
Entrare in struttura, camminare lungo i corridoi per raggiungere un paziente allettato si può trasformare in un percorso di guerra. Anziani che urlano, campanelli che suonano, carrelli che emanano ogni sorta di odore, macchine che lavano per terra, anziani che ti vedono e inveiscono perché porti un cane all’interno anche se ti riconoscono perché ti hanno visto mille volte, ma non si ricordano che tu e il tuo cane siete lì su indicazione del direttore sanitario. Sappiamo bene che la memoria a breve termine è breve in una parte della popolazione anziana.
E poi ci sono alcuni operatori che ci vedono, ci puntano da lontano, accelerano il passo per raggiungerci. Arrivano con falcate decise, a volte corredate da cinguettii, si fiondano frontalmente sul muso del mio cane. A quel punto la mia postura cambia, con un passo di danza, mi metto in mezzo, tra il mio collaboratore e il cacciatore di coccole, ma questi ti sposta fisicamente e prende tra le mani il muso del peloso magari indossando guanti di lattice sporchi di disinfettante. A volte non hai tempo per bloccare l’azione, sembra un giocatore di rugby che va in meta.
E il tuo cane gira il capo, si lecca le labbra fino ad arrivare a leccare il volto dell’assalitore spuntato fuori dal carrello dei cambi. E l’operatore insiste e gioioso afferma che il cane gli sta dando i bacini. A quel punto cerco di trasformarmi in Turid Rugass, che ha codificato i segnali calmanti dei cani ed è stata mia insegnante al master, che tenta in modo diplomatico di sottrarre il proprio collaboratore a tale manipolazione. E se lo fai in modo deciso, ma sempre educato, ti guardano male e affermano che loro si intendono di cinofilia, che hanno cani e che io non capisco. E allora oltre alle trecce, che non ho, mi spuntano le ali e la bacchetta magica e mi trasformo nella fatina dei cani: magari stanotte potrò volare dai loro cani a dar loro una mano.
In realtà nella maggior parte delle situazioni l’arrivo del cane è accolto con un sorriso, “bene arrivato!”, ospiti che si sbracciano, carrozzine che accelerano l’andatura, carrelli che si spostano e macchine per la pulizia che cambiano tragitto per farti passare con il tuo cane. Ospiti ed operatori gli danno una carezza virtuale e lo accompagnano con lo sguardo fino all’ingresso della camera dove si trova il fruitore segnalato dai medici, che una volta presentato il caso, ci lasciano spazio e osservano con attenta discrezione il nostro lavoro.
L’ingesso del cane in struttura porta alla luce in noi atteggiamenti diversi e contraddittori che possono essere riassunti in una nota battuta: “se Pluto è il cane di Topolino, cosa diavolo è Pippo?”.
PS. Utilizzo dell’immagine di copertina non per scopi commerciali: “Tutti i diritti riservati”
Grande elena.bello il racconto.leggero e profondo.continua a scrivere un sorriso
Patti